Agnolo di Lorenzo del Favilla di Cristofano Allori

Si tratta del ritratto di Agnolo di Lorenzo,  figlio diciottenne di Agnolo del Favilla, notaio, uomo di lettere alla corte medicea di Firenze («Vassallo, e Serv. Humilisso», come si firmava, rivolgendosi da suddito al suo sovrano), noto per le sue rime composte in occasione delle nozze tra il diciannovenne Cosimo II de’ Medici e Maria Maddalena d’Asburgo, celebrate a Firenze nell’ottobre del 1608[1].
Il suo nome non compare nel pur minuzioso e dettagliato resoconto che di quelle feste scrisse Camillo Rinuccini[2], e le sue Rime non furono poste a fianco delle «Poesie alle statue di zucchero al G. Duca a cavallo», che si lessero durante i festeggiamenti di quel matrimonio. Cionondimeno, Agnolo del Favilla dovette ricoprire un ruolo d’un certo rango o riguardo all’interno della corte medicea per dare alle stampe a spese sue («Con Privilegio») il libretto di rime per celebrare il matrimonio granducale. Nella prefazione all’operetta, nell’«allegrarsi» del «felicissimo maritaggio», il suo autore lamentava come lo «sterile orticello» del suo ingegno fosse «noiato» da «spine» di cui, tuttavia, faceva mostra di non curarsi. Eppure, un simile accenno in quel luogo (così apparentemente inopportuno) suona come una sorta di captatio benevolentiae al suo sovrano, come, d’altronde, è lo stesso libretto; o, forse, una velata richiesta d’aiuto.
Non sarà, quindi, un caso se, proprio in quello stesso torno di tempo, ossia tra il 1608 (data del matrimonio delle Altezze Serenissime) e il 1609 (data che si legge seppur in parte abrasa sul foglio di carta che il giovane mostra nella mano destra), il padre commissionò questo inedito ritratto del figlio ad un pittore di grido, Cristofano Allori, figlio di Alessandro e nipote del Bronzino, quasi fosse una sorta di presentazione al pubblico del figlio. Nemmeno possiamo escludere si tratti di un dono di Cosimo, mecenate dell’Allori, al devoto suddito in segno di riconoscenza per le Rime.

Il giovane è colto di sguincio, in penombra, in prossimità di un muro spoglio sul quale proietta un’ombra. La morbida luce rischiara l’ampia fronte, lascia intravvedere l’ordinata capigliatura bruna, tornisce l’ovale del volto dal “colorito mirabile”[3]. Le belle labbra accennano appena un sorriso e i grandi occhi scuri sfuggono per timidezza lo sguardo dell’osservatore. Il vestiario è sobrio, impreziosito dal bianco colletto finemente ricamato e perfettamente inamidato. La mano destra, al cui mignolo spicca un piccolo anello, tiene un foglietto ripiegato sul quale si legge: «Agniolo di Lorenzo di M. Agnolo del Favilla cuius f.[i]l[io]o di anni diciotto mesi tre alli 11 di febraio 160[9?] ».
La scritta sul retro della tela «Giovane / Originale di Cristofo: Allori /detto il Bronzino», è indubbiamente antica, tracciata a pennello. Sebbene assente dalla ricognizione monografica condotta quarant’anni fa sul pittore fiorentino[4], il dipinto, ancora perfettamente conservato, rientra saldamente nel percorso artistico dell’Allori – di cui rappresenta un’importante aggiunta al catalogo dei ritratti.
Sono questi gli anni in cui il pittore trentaduenne lavorava ad una «Nonziata grande al naturale… per la Duchessa di Baviera»[5], e si accingeva alle tele sue più celebri, oggi nella Galleria Palatina con La Maddalena, Giuditta, San Giovanni Battista nel deserto e L’Ospitalità di san Giuliano.


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